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Lo showrooming trasforma lo shopping

10/3/2013

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Lo Showrooming sta trasformando lo shopping: i retailer si mobilitano.

Il fenomeno dello “Showrooming” ha avuto la sua prima e più importante definizione poco più di un anno fa, quando, a dicembre 2011, il New York Times riferì del nuovo trend secondo cui un numero crescente di acquirenti di libri “armeggiano con i loro smartphone mentre sfogliano libri e riviste in libreria per poi uscire senza acquistare”.

Ancora più rilevante è che il termine abbia visto apparire una pagina di definizione in Wikipedia solo pochi mesi fa, dopo che il Wall Street Journal, utilizzandola diffusamente, la ha in qualche modo leggittimata.

Un fenomeno ben chiaro ai retailer anche prima che avesse un nome e che rischia velocemente di rappresentare una serissima minaccia per la sopravvivenza dei tradizionali modelli distributivi.

Una recente ricerca, presentata a novembre scorso e condotta da Aprimo (Teradata company quotata al NYSE), in collaborazione con un istituto indipendente, ha dimostrato che negli Usa un consumatore su 5 pratica lo showrooming, visitando negozi fisici per provare i prodotti e ricorrendo al telefonino per confrontarne on line i prezzi. Di questi consumatori, il 33% ha dichiarato di utilizzare le informazioni ricercate on line per acquistare fuori dal negozio in cui hanno provato il prodotto, accedendo istantaneamente a negozi on-line (e-tailer).

Si tratta di un trend in forte crescita visto che il 96% degli showroomers ha dichiarato di essere soddisfatto della modalità e di volerla utilizzare sempre di più, consigliandola entusiasticamente ad altri consumatori.

I retailer devono quindi seriamente considerare dei rimedi per evitare la perdita di vendite, usando strategie digitali avanzate, servizi in-store personalizzati e programmi evoluti di loylaty.

I negozi fisici devono essere oggi più customer-centric, meno focalizzati sulle caratteristiche di prodotto e sul prezzo e utilizzare soluzioni tecnologiche per coinvolgere l’acquirente  attraverso una shopping experience più personalizzata e guidata dal miglioramento delle modalità di scelta del consumatore.

La ricerca ha dimostrato che:

1) il trend dello showrooming è appena nato ma è già pronto ad esplodere: un terzo di coloro che non hanno usato il loro smartphone per una ricerca on-line durante lo shopping, dichiara semplicemente di non averci pensato (per ora…);

2) lo showrooming non riguarda solo articoli a scontrino elevato: se l’elettronica di consumo rappresenta la categoria di prodotti più bersagliata dallo showrooming per il controllo di prezzo (39%), seguono i prodotti groceries (37%) e scarpe e abbigliamento (33%);

3) lo showrooming minaccia fortemente la struttura dei prezzi e l’immagine stessa dei retailer: più della metà degli showroomers ha dichiarato di aver facilmente trovato on-line prezzi più bassi per articoli identici rispetto a quelli del negozio fisico. Solo nell’8% dei casi è avvenuto il contrario….

Tutto conferma che i retailer fisici non possono sostenere a lungo questa battaglia concentrandosi esclusivamente sul price matching, la pratica di rimborsare il cliente se questi rintraccia lo stesso prodotto ad un prezzo inferiore in un altro ….retailer.

Alle stesse conclusioni è arrivato un altro importante e recentissimo studio internazionale dell’International Business Machines Corp. diffuso a gennaio scorso da Reuters.

Su 26.000 shoppers, più dell’80% ha fatto il suo ultimo acquisto non food in un negozio fisico ma solo la metà ha dichiarato che effettuerà con certezza il prossimo in un bricks-and-mortar.

Lo studio di IBM, presentato alla convention newyorkese della USA National Retail Federation a inizio anno, ha sottolineato come il fenomeno riguardi non solo gli USA ma anche mercati come la Cina (26% di showroomers tra gli shopper intervistati) e l’India (13%).

Secondo la ricerca, lo showrooming è ormai responsabile di circa il 50% di tutte le vendite on line in USA e spinge ulteriormente l’e-commerce mentre le vendite dei bricks-and-mortars arrancano dovunque.

Ad esempio, in Canada una veloce ricognizione su Google permette di notare come i prezzi di molti prodotti (gli stessi prodotti) siano sensibilmente più bassi negli USA.

Alla improvvisa chiusura di 15 store Canadesi tra Best Buy e Future Shop (leader Canadese nella consumer electronics, controllata proprio da Best Buy) non sembra essere estranea la elevatissima trasparenza dei prezzi assicurata dal web e dalla possibilità che gli showroomers si regolino facilmente di conseguenza. 

Sears (uno dei più grandi e importanti retailer del mondo) ha rinunciato alla vendita di consumer electronics nei suoi negozi Canadesi dopo essersi resa conto che i propri reparti tecnologici erano visti e utilizzati dai consumatori come degli showroom in cui provare il prodotto, soprattutto televisori ad alta definizione, per poi ordinarlo on line da un concorrente più agguerrito.

Una urgente revisione delle strategie dei retailer sembra essere improcrastinabile e in molti casi è già iniziata.

Restando in Canada, Best Buy, alle ipotesi che le chiusure Canadesi fossero state causate dallo showrooming, ha risposto spiegando che sta spostando il proprio focus su location più piccole e che aprirà 20 nuovi “small box outlets” entro l’anno in tutto il Paese (negozi Future Shop con una dimensione di circa un quinto rispetto a prima).

Una strada è quindi quella di riconfigurare i negozi in modo da spingere la clientela a comprare il prodotto “provato” nel negozio fisico tramite piattaforme on line della stessa catena, garantendo ai clienti un’esperienza fisica piena e coinvolgente che possa poi concludersi facilmente e convenientemente on line (ma sull’e-commerce dello stesso retailer).

Apple ha da tempo interpretato in questo modo la struttura dei propri “showroom” fisici e Microsoft sembra volerla seguire su questo terreno.

Tesla Motors, produttore californiano di automobili e veicoli elettrici (31 showroom nel mondo di cui uno a Milano) ha da subito strutturato il proprio format distributivo in modo diverso con la chiara intenzione di ridefinire il concetto stesso di vendita di un’auto: i negozi (showroom) sono luoghi in cui apprendere, informarsi, configurare, emozionarsi. L’acquisto? On line…

Adidas ha un problema di “inventory”. Con 450 differenti modelli di scarpe da calcio e i negozi che ne assortiscono “solo” tra 10 e 30, la soluzione è stata l’Intel's Virtual Footwear Wall, un grande schermo interattivo in 3D, tramite il quale i clienti possono avere accesso all’intera lineup di modelli e opzioni, effettuando comparazioni di prezzo. Quando il cliente effettua una selezione, il commesso conclude la vendita tramite una piattaforma online con consegna successiva del prodotto. I primi risultati parlano di evidenti incrementi delle vendite e dello scontrino medio: più di 70euro a cliente in più rispetto a quanto pianificato.

PayPal sta testando una opzione che fornisce ai clienti un controllo sui pagamenti effettuati. “The oops button" permette ai clienti di cambiare idea fino a 5/7 giorni dopo che la transazione è avvenuta, dando loro la possibilità di convertire il pagamento (debito) in un credito rispendibile o rateizzare la spesa quando ci si rende conto, a mente fredda, di aver “ecceduto”. Si tratta di una tattica intelligente per dare al cliente maggiore controllo, superandone i dubbi e le incertezze pre-acquisto in negozio.

Infine, lavorare in modo deciso sul servizio fornito in negozio dagli addetti è l’arma più importante. L’obiettivo è permettere ai venditori di essere adeguati alle sfide imposte dall’ omnichannel retail world: "Compliance isn't sexy but battling showrooming is".

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